Jane Goodall, sin dal principio, si è sempre riferita agli scimpanzé studiati chiamandoli per nome, non dando loro un numero, come era usato nelle osservazioni scientifiche negli anni sessanta. Il suo primo manoscritto inviato ad un giornale scientifico, le fu rispedito con i commenti dell’editore, che le correggeva l’uso dei pronomi personali: non “he, she o who“, ma rigorosamente “it, a o which“. Furiosa, Jane cancellò tutti i “which” e gli “it” . Fu quella la sua prima battaglia contro la scienza affermata, battaglia che vinse.
Jane sconvolse anche gli etologi (il suo dottorato fu in etologia, lo studio del comportamento degli animali) descrivendo loro la personalità degli scimpanzé, la loro capacità di ragionare e, prima di tutto, descrivendo le loro emozioni. Tutto ciò venne considerato antropomorfico e di conseguenza inaccettabile. Ma Jane, che allora non era ancora stata all’università, non conosceva nessuna delle regole stabilite. Fortunatamente!
La sua ricerca, sin dal principio, ha dato molta importanza all’individualità, sottolineando le differenze tra gli individui e il contributo che ognuno, con la propria unicità, può dare.
I suoi studi hanno contribuito anche ad “offuscare la linea”, una volta considerata così netta, tra gli essere umani da una parte e il resto del regno animale dall’altra.
Questo studio, sostenuto da molti sia sul campo che in cattività, fornisce interessanti prove a favore della differenza di personalità, pensiero razionale, capacità di risolvere i problemi, capacità di astrazione e generalizzazione, consapevolezza di se, capacità di comprendere lo stato d’animo o i bisogni degli altri, empatia.
Siamo inoltre convinti che gli scimpanzé conoscano emozioni quali la gioia e il dolore, la paura e la disperazione e che possano sperimentare la sofferenza mentale e fisica.
Li consideriamo quindi con nuova attenzione e rispetto. Questo deve condurci a considerare con maggiore rispetto anche gli altri incredibili esseri viventi con cui dividiamo il pianeta.