Gli scimpanzè e l'uso di strumenti

Nel 1960 Jane Goodall osservò uno scimpanzé maschio adulto, accovacciato su un nido di termiti. Per non spaventarlo, si fermò a distanza. Purtroppo non poté vedere bene cosa stesse facendo ma sembrava che infilasse un filo d’erba nel termitaio per poi portarlo alla bocca. Quando lo scimpanzé si allontanò, Jane prese il suo posto e provò ad infilare nel buco uno dei fili di erba abbandonati. Così facendo si accorse che le termiti ci si attaccavano e che, tirando indietro lo strumento, poteva catturarle. Insomma, aveva imparato qualcosa di nuovo guardando il suo amico scimpanzé.

Poco tempo dopo, Jane osservò David Greybeard e altri scimpanzé raccogliere ramoscelli freschi e rimuovere le foglie in modo da ottenere un bastoncino senza appendici laterali. Gli scimpanzé avevano modificato un oggetto per ottenere uno strumento adatto ad infilarsi in un buco. Ciò dimostra che gli scimpanzé sono capaci di modificare strumenti.

Sino ad allora si riteneva che l’uomo fosse la sola specie capace di modificare strumenti, da qui l’appellativo Homo faber (Uomo artefice, capace di creare, costruire, trasformare l’ambiente in cui vive, adattandolo alle sue necessità). Sembra che, non appena informato di questi risultati, il famoso paleo-antropologo Louis Leakey — colui che sponsorizzava le ricerche di Jane Goodall a Gombe — reagì affermando che: o gli scienziati trovavano una nuova definizione per Homo faber e ripensavano a cosa rende l’uomo diverso dagli altri Primati, oppure — dato che l’uomo non era più il solo ad essere faber – si doveva accettare che uomo e scimpanzé erano simili.