Arte, psiche e grandi scimmie: il PME Play Picture Making Music Emotional Enrichment

A cura di Mariangela Ferrero, Psicoterapeuta, da anni impegnata per il benessere dei primati in cattività, socia dell’Istituto Jane Goodall Italia.

Le grandi scimmie sono alterità senzienti profondamente simili agli individui della nostra specie, se pur specificatamente differenti. Sappiamo che hanno coscienza di sé, costruiscono relazioni profonde, hanno capacità particolarmente articolate, compiono scelte morali. Le ho viste per esempio utilizzare strategie, fare gesti di altruismo o persino battute di spirito.

Per quanto, quindi, sia chiaro che nessun arricchimento ambientale in cattività possa ricreare la vita, nelle sue declinazioni comportamentali e interiori, che i primati non umani – ma anche molti altri animali non umani – vivrebbero in natura, appare anche evidente che si possa e si debba fare molto per la loro gestione in cattività.

Il PME per promuovere il benessere emozionale e relazionale

Per accudire in cattività (ma anche per tutelare in natura) è centrale la conoscenza, e il conseguente rispetto, dei bisogni specie-specifici, che nelle scimmie sono particolarmente complessi, molto simili ai nostri e individuali. Sulla base di questo, e considerando come la cattività implichi possibilità ridotte di libertà di espressione e realizzazione etologica, è necessario promuovere attivamente, e poi altrettanto attivamente sostenere, il benessere psicofisico del gruppo sociale e di ciascun individuo.

In qualità di psicoterapeuta mi occupo in estrema sintesi del benessere delle persone, di adozione nazionale e internazionale di minorenni e, ormai da parecchi anni, di interventi di miglioramento del benessere psicorelazionale per primati non umani in cattività.

Toccata dalla sofferenza emotiva delle scimmie che ho incontrato nei Centri di Recupero e nei Bioparchi in giro per il mondo, e colpita dalle possibilità di comunicazione e scambio che ho potuto sperimentare con loro, ho creato il metodo PME (Play Picture Making Music Emotional Enrichment); un percorso specialistico e sperimentale di arricchimento che, per la prima volta, impiega strumenti prettamente psicologici di comprovata efficacia nell’essere umano, riadattati considerando le differenze di specie, per migliorare lo stato psicorelazionale delle grandi scimmie in cattività.

Play significa “gioco o giocare”, Picture Making significa “dipingere o far pittura”, Making Music significa “far musica o suonare”, Emotional si riferisce alla dimensione psicoaffettiva in cui l’intervento principalmente opera, ed Enrichment indica ovviamente che si tratti di un arricchimento e cioè di un intervento volto alla tutela del benessere degli individui in cattività.

Nel PME una antropomorfa può dipingere e suonare, grazie all’impiego dei mediatori artistici provenienti dalle Terapie Espressive, all’interno di una relazione d’aiuto interspecifica specialistica e comprensiva del gioco.

Al centro del PME c’è il soggetto, con la sua individualità, la sua storia e i suoi specifici bisogni.

Alcuni individui in cattività portano con sé del disagio, dovuto a storie traumatiche o a motivi diversi e anche correlati alla cattività stessa. Con un percorso di sostegno opportuno come il PME, il singolo può migliorare in modo significativo, a vantaggio del gruppo di conspecifici e dei curatori, cioè degli operatori umani che se ne occupano.

L’intervento ha una conduzione prettamente psicologica, prevede libera partecipazione, escludendo ogni coercizione o forzatura, e non prevede premi.

I principali obiettivi del lavoro di PME riguardano la promozione della libera espressione di sé, della creatività e del gioco, la riduzione del disagio e la gestione di emozioni ed impulsi, il miglioramento delle relazioni intraspecifiche.

Opera di Medina – il PME a Ngamba Island Chimpanzee Sanctuary – Uganda 2012

Le tecniche impiegate hanno caratteristiche peculiari, etologicamente adattabili alle specie destinatarie; il linguaggio analogico non verbale (i primati non umani utilizzano ad esempio espressioni facciali e gestualità), il mediatore pittorico (le produzioni pittoriche di diverse antropomorfe sono state studiate e apprezzate, tra i pittori più noti troviamo ad esempio lo scimpanzé Congo e la gorilla Koko), il mediatore musicale (i primati non umani producono intenzionalmente una varietà di suoni, per esempio i gorilla si percuotono il petto o gli scimpanzé percuotono tronchi nella foresta), l’attività ludica (diffusamente utilizzata nella clinica dell’età evolutiva e in contesti educativi, il gioco è ampiamente praticato nello scambio relazionale spontaneo tra i primati non umani ed ha provati benefici per l’apprendimento e la flessibilità comportamentale, ma non solo).

Ricerche in ambiti scientifici diversi hanno confermato come relazione, emozioni e Terapie Espressive incidano anche sul nostro sistema nervoso, inducendo cambiamenti neuroplastici nella struttura e nel funzionamento cerebrale. Il Play Picture Making Music Emotional Enrichment si basa, declina e realizza, anche nei suoi risultati, nella dimensione relazionale: nella relazione interspecifica d’aiuto e nella relazione con i mediatori artistici. Questi ultimi forniscono una stimolazione multidimensionale (sensoriale, motoria, affettiva, cognitiva) e nell’esperienza si generano emozioni, sensazioni, ed emergono ricordi; su questi si procede a lavorare all’interno e attraverso una relazione d’aiuto con caratteristiche specifiche.

L’abbraccio di David – il PME a Ape Action Africa – Camerun, 2015

L’interazione cooperativa tra terapeuta e individuo è finalizzata al benessere dell’animale e al superamento del disagio.

Il PME è destinato sia a soggetti in situazione di benessere migliorabile, che a portatori di disagio, traumi pregressi, o franca psicopatologia, che possano e vogliano rapportarsi con gli strumenti proposti. Le strategie utilizzate si rivolgono in particolare alle grandi scimmie, ma sono semplificabili per alcune altre specie di primati non umani.

Sessioni e cicli di PME sono flessibili e completamente modulabili sulle particolari esigenze di ciascuno dei partecipanti, i quali sono gli artefici dei percorsi di lavoro. I partecipanti e gli obiettivi di lavoro vengono individuati in collaborazione con le équipe di ciascuna Struttura e l’intervento viene regolarmente discusso in integrazione multidisciplinare.

A seconda degli obiettivi prefissati, l’applicazione del metodo PME richiede un tempo più o meno lungo, da un mese ad uno o più anni, per il perseguimento e raggiungimento degli obiettivi stessi.

Ho realizzato il PME con 14 scimpanzé – Pan troglodytes – allo Ngamba Island Chimpanzee Sanctuary (CSWCT) in Uganda, in 89 sessioni di lavoro, nel 2012 e nel 2013, con 2 scimpanzé e 2 gorilla – Gorilla gorilla gorilla – presso Ape Action Africa in Camerun, in 27 sessioni di lavoro, nel 2015. Nel 2014 ho sperimentato l’applicabilità del PME con tre orangutans – Pongo pygmaeus – presso i Centri Tanjung Puting National Park e Samboja Lestari in Indonesia. Negli anni ho proposto alcuni cicli del metodo semplificato a 4 Macaca sylvanus presso il Centro Recupero Animali Selvatici Bernezzo (CN) e a due colonie di Macaca fascisularis presso il Centro Recupero Animali Selvatici e Esotici della Maremma (GR).

Medina, Pasa, Mawa, Ikuru, David, Lucy, Gepu e molti altri hanno compiuto tragitti emozionanti e raggiunto traguardi persino sorprendenti, toccandomi ognuno in modo particolare.

Tra i risultati generali dell’intervento, si è rilevato come i cambiamenti a breve termine siano sempre stati in linea con gli obiettivi di lavoro, ci siano stati miglioramenti nelle capacità di modulare emozioni ed impulsi,  una riduzione dei comportamenti ansiosi/depressi e un aumento dei comportamenti sociali.

Scegliendo qualche scorcio tra le tante immagini preziose che si alternano nella mia mente, penso ad esempio a Mawa, uno scimpanzé adulto che vive al Santuario di Ngamba Island in Uganda. Sensibile, ansioso, acuto, possente e delicato, Mawa soffriva di attacchi di panico – con ipersudorazione, tachicardia e visibile stato di agitazione – talvolta faticava a gestire i propri impulsi e viveva in semi-isolamento.

Nella prima fase del suo percorso di PME, Mawa si limitava sostanzialmente a manipolare o rompere i materiali e a leccare e ingerire i vari colori. Il lavoro con lui si è giocato quasi del tutto nella relazione di scambio emotivo, che era anche il fulcro dei suoi bisogni.

Mawa nei primi tempi mi sfidava spesso, afferrando velocemente i materiali che poteva e distruggendoli, ma dimostrava anche gratitudine per quei materiali che gli portavo, e cura e reciprocità nei miei riguardi. Mawa mi praticava il grooming, per accudirmi e pulire dalle tracce di colore sul mio corpo e, soprattutto, mi chiamava ogni volta in cui aveva un attacco di panico. Voleva che gli tenessi la mano o gli consentissi di tenere la mia mano in bocca, per non battere le arcate dentali tra loro; mi aveva individuata come la sua terapeuta, che attraverso le attività del PME, si prendeva cura del suo disagio.

Mawa durante il PME a Ngamba Island Chimpanzee Sanctuary – Uganda, 2013

Ho percepito come essenziale l’aver colto la sua insicurezza e la sua ansia, non averlo giudicato e, ancor di più, l’avergli dato fiducia. È stato così che nella seconda fase del lavoro, Mawa ha preso ad organizzarsi con cura i materiali nello spazio, per poi dipingere con concentrazione anche per tempi lunghi, con uno stile pittorico connotante e sviluppando proprie tecniche. Significativi sono stati alcuni momenti di scambio e il fatto che Mawa volesse tenere con sé qualcuno dei materiali utilizzati durante la sessione, come a prolungare l’emozione dell’esperienza tramite un oggetto transizionale (esempio tipico è quello di un oggetto che fornisce conforto al bambino in assenza della relazione con la madre).

Mawa ha dimostrato di beneficiare del PME in termini di fiducia in se stesso, calma (e quindi contenimento dell’ansia) e concentrazione.

Anche la piccola Medina viveva a Ngamba. Particolarmente intelligente e timida, era ripiegata su di sé a causa delle violenze subite; incapace di esprimere i propri bisogni, non si legittimava a giocare, né a prendere il cibo. Nel PME ha compiuto un cammino particolarmente intenso, articolato, profondo ed entusiasmante. Medina ha potuto sentirsi sostenuta e ha saputo confrontarsi con emozioni per lei difficili da contattare; arrivando a concedersi persino qualche esternazione della propria rabbia. Per lei, al contrario di Mawa, distruggere i materiali e i dipinti, in momenti particolari, è stato un punto d’arrivo.

Le parallele manifestazioni pittoriche di tecniche innovative e sempre più sofisticate, o per esempio la realizzazione di opere tridimensionali, hanno rispecchiato i percorsi interiori e i cambiamenti nel comportamento.

Medina, grazie al lavoro del Centro e al contributo del PME, ha avuto cambiamenti positivi di grande portata; è giunta finalmente ad esprimersi e a giocare, conquistando senso di sicurezza e sviluppando nuove capacità relazionali, addirittura di intraprendenza.

David invece ha potuto abbracciare ed essere abbracciato, laddove prima non sopportava il contatto fisico e si dondolava compulsivamente quasi di continuo.

David aveva appena tre anni quando l’ho conosciuto ad Ape Action Africa, in Camerun. Bracconato in tenerissima età e detenuto in una piccola gabbia in un hotel, come attrazione per i turisti, David era terrorizzato dai conspecifici.

Con lui abbiamo lavorato con gli strumenti musicali, modulando musica ed emozioni; e con il gioco, che praticava in modo molto rude o al contrario eccessivamente timoroso.

L’iniziale paura per i materiali e la relazione si è trasformata in interesse e David si è divertito tanto suonando gli strumenti a percussione, ma anche il pavimento e la mia schiena.

La possibilità di sperimentare contatto fisico in modo giocoso e finalizzato alla produzione di suono, e di modulare quest’ultimo nella potenza e nella frequenza temporale, hanno sostenuto la capacità di parallelamente modulare le emozioni e gli impulsi. Il lavoro ha così contribuito al contenimento dell’ansia. Quando le sue stereotipie sono diminuite in modo significativo, David ha potuto essere gradualmente inserito dall’équipe in un gruppo di coetanei.

Dobbiamo a questo punto ricordare come i comportamenti anomali dei primati non umani siano il risultato di azioni umane, quali bracconaggio e inadeguata gestione, di fronte a cui la relazione interspecifica specialistica nel PME diviene strumento prioritario (e inevitabile) di intervento e cura.

La ricchezza dei risultati e delle esperienze, oltre a rendermi particolarmente grata, alle scimmie e anche ai professionisti con cui ho collaborato, mi fa sperare con forza che il PME raggiunga quante più Strutture possibile, in Italia e all’estero, in sostegno dei primati non umani e delle équipe che si curano di loro.

È importante anche la raccolta dei dati relativi all’applicazione a lungo termine del metodo PME; ciò per osservare le risposte, che finora indicano positive capacità di recupero, dei primati non umani e delle scimmie antropomorfe in particolare – in termini di incremento dello stato di benessere psicorelazionale – ed al fine di ampliare le nostre conoscenze sui più opportuni ed efficaci interventi nella tutela della salute psicoaffettiva e nella riabilitazione psicosociale in ambito primatologico.

Il Jane Goodall Institute Italia con Jane Goodall per introdurre “criteri e requisiti minimi per la gestione in cattività delle Grandi Scimmie Antropomorfe” nel nostro Paese.

Proponiamo al Governo e ai Ministeri competenti di integrare il Decreto Legislativo numero 73 del 21 Marzo 2005 relativo alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici con un allegato che specifica i “criteri e requisiti minimi per la gestione in cattività delle Grandi Scimmie Antropomorfe”.

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