Sperimentazione animale e resistenze al progresso: no alla ricerca invasiva sui primati non umani

Sperimentazione animale e resistenze al progresso
4 Febbraio 2021 Redazione

Dopo il blocco, lo scorso 8 ottobre, della ricerca Light-Up delle Università di Torino e di Parma su sei macachi (Macaca mulatta) per la verifica sulla reale necessità degli esperimenti (vedi articolo) ora il Consiglio di Stato ha deciso per la ripresa della ricerca che prevede un livello di sofferenza atteso come grave e la soppressione degli individui al termine della sperimentazione.

Pubblichiamo l’articolo della psicoterapeuta Mariangela Ferrero, impegnata nel miglioramento del benessere psico-relazionale dei primati non umani in cattività, coordinatrice del GdL Bioetica animale presso l’Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte, sostenitrice e collaboratrice del Jane Goodall Institute Italia.

SPERIMENTAZIONE ANIMALE E RESISTENZE AL PROGRESSO

Che gli animali non umani siano senzienti, soffrano, siano dotati anche di moralità, ormai lo sappiamo bene. Che la sofferenza dei primati non umani sia particolarmente vicina alla nostra, ci è chiaro da tempo. I primati non umani, ad esempio, sviluppano psicopatologie conseguenti ai traumi vissuti, o possono giungere a sacrificare la loro vita per evitare che un conspecifico venga raggiunto da una scossa elettrica (Wechkin e altri, 1964); peraltro anche i topi si comportano in modo simile.

Il Consiglio di Stato ha deciso per la ripresa della ricerca Light-Up, portata avanti dalle Università di Torino e Parma, che coinvolge sei macachi (Macaca mulatta) e prevede un livello di sofferenza atteso come grave e la soppressione degli individui al termine della sperimentazione.

La comunità scientifica maggioritaria ci dice che la sperimentazione animale rimane necessaria e, al contrario, un numero di esperti assai minore ma crescente, la reputa inopportuna e inaffidabile in quanto, pur con molte comunanze e similarità, siamo una specie profondamente diversa sia dal topo che dal macaco e le risposte interspecifiche ai medesimi stimoli o sostanze possono essere molto differenti o perfino opposte. Le condizioni di stabulazione ed il tipo e grado di dolore inferto, e quindi lo stato di stress del soggetto, possono inoltre condizionare in modo significativo i risultati di una ricerca.

In qualità di psicoterapeuta, mi occupo di migliorare il benessere psico-relazionale dei primati non umani in cattività – per aiutare coloro che soffrono di disturbi psico-affettivi o comportamentali, o sono vittime di maltrattamenti e traumi, anche post-laboratorio, o più “semplicemente” soffrono la cattività – e so bene quanto possano essere profondi i loro sentimenti, la loro angoscia e la loro disperazione. Ma il punto è che sia la scienza stessa a saperlo.

Scientificamente parlando, da un canto scopriamo le profondità intellettive, affettive, morali degli altri animali, mentre dall’altro canto li riduciamo a “modelli animali”, deputati a subire pratiche anche altamente dolorose e angoscianti.

Quanto può essere accurata una scienza così contraddittoria? Quanto può essere evoluta e può ancora evolvere una scienza che si autolegittima a scotomizzare la dimensione etica?

Migliorare il benessere nei laboratori non corrisponde a far scienza etica o a tenere adeguato conto della complessità etologica e delle conseguenti variabili in campo.

Si sta riducendo ad una battaglia tra scienziati e animalisti quello che si configura come un conflitto interno alla scienza stessa, e che si manifesta nella mancanza di riconoscimento reciproco e di integrazione tra ambiti, nel fenomeno della Knowledge translation (l’ampio divario tra ciò che sappiamo e l’applicazione pratica di tale sapere), nella profonda resistenza al cambiamento che si manifesta in tutte le fasi in cui dobbiamo interfacciarci proprio con esso.

Il fatto che la scienza ancora non possa rinunciare alla sperimentazione animale significa che è necessario fare infinitamente di più, sul piano economico, formativo, legislativo, perché la sperimentazione senza animali – la ricerca alternativa, i Nuovi Approcci Metodologici, human-based, in vitro e in silico – presentata dalla comunità scientifica come la ricerca più avanzata e che dà contributi significativi quando impiegata, venga effettivamente perseguita.

Costruire la scienza del futuro significa cominciare a intendere la ricerca alternativa alla sperimentazione animale come metodo di riferimento nel presente; significa compiere investimenti economici rilevanti e scelte concrete. Progredire implica che la comunità dei ricercatori consapevolizzi e superi le tradizionali prassi e dinamiche professionali, e comporta che tutti ci si prenda la responsabilità delle resistenze puramente culturali che la nostra specie sempre ha nell’abbandonare i metodi familiari per fare esperienza del nuovo (Aspetti posti in evidenza anche in “Final Opinion on The need for non-human primates in biomedical research, production and testing of products and devices”, Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks – SCHEER, 2017, pagg. 61 e 65).

D’altro canto sia l’opinione pubblica che la stessa comunità scientifica danno importanti segnali in questa direzione. È un processo di trasformazione impegnativo, ma è verosimilmente l’unico modo per progredire in modo autenticamente scientifico ed evolutivamente sano.

Mariangela Ferrero
Psicoterapeuta, Coordinatrice del GdL Bioetica animale presso l’Ordine degli Psicologi della Regione Piemonte, si occupa di miglioramento del benessere psico-relazionale dei primati non umani in cattività. Collabora con il Jane Goodall Institute Italia da diversi anni.