L’Italia e le direttive Habitat e Uccelli: alcune riflessioni

L’Italia e le direttive Habitat e Uccelli: alcune riflessioni
9 Maggio 2023 Redazione

Trovare un punto di equilibrio dove siano contemplati i diritti e i bisogni sia dell’uomo che degli animali sembra ogni giorno più difficile. I recenti fatti, invece di unire le forze di diversi gruppi sembrano polarizzare le opinioni e, purtroppo, allontanare le persone invece di spingerle a trovare una soluzione più bilanciata per le sfide a breve e lungo termine.

Il monito dell’Unione Europea all’Italia in materia di caccia in aree protette, e la sua “contraddizione” con la Direttiva Habitat e Uccelli ne rappresentano un chiaro esempio.
Il confronto tra la politica e le associazioni di tutela dei diritti degli animali è iniziato dopo un emendamento inserito dal governo, che consente l’ abbattimento di fauna selvatica non solo nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto ma anche in centri urbani ed aree protette, suscitando preoccupazioni per il come questo sarà realizzato e per la vita degli animali adesso più esposti. La discussione prosegue anche in seguito al tragico evento durante il quale ha perso la vita un runner in Trentino in seguito all’attacco di un orso.

Tuttavia, esistono strategie per conciliare i bisogni umani e quelli degli animali, per una convivenza possibile nell’ambiente che tutti condividiamo.

La direttiva 92/43/CEE del consiglio del 21 maggio 1992, più concretamente conosciuta come “Direttiva Habitat”, inserita in Italia attraverso il Regolamento DPR del 8 di Settembre 97 n°357, consta di 24 articoli e ha come obiettivo: “contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato.” L’emendamento recentemente introdotto dal governo italiano, infrange l’articolo 12 della “Habitat”, che chiede agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari ad istituire un regime di tutela degli animali con specifiche azioni legali nei casi di:
a) “qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata” nell’ambiente naturale;
b) “perturbare deliberatamente tali specie, principalmente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione;”
c) “distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell’ambiente naturale”, e
d) “deteriorare o distruggere siti di riproduzione o aree di riposo”.

Ci sono altri articoli pertinenti alla coesistenza uomo-animali selvatici, ad esempio l’articolo 6, che menziona che ogni progetto per un’area protetta “non direttamente connesso e necessario”, ma che possa influire sugli obiettivi di conservazione di questa, deve essere valutato in primis. Inoltre, l’articolo 11 chiede che gli Stati membri garantiscano “la sorveglianza dello stato di conservazione delle specie animali e degli habitat tenendo particolarmente conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritarie”.

Di solito la direttiva Habitat è nominata insieme alla Direttiva 2009/147/CE (aggiornamento della direttiva 1079/409/CEE), o direttiva “Uccelli”, sulla conservazione degli uccelli selvatici mediante la protezione dei loro habitat. Infatti, le Zone protette Speciali (ZPS), già designate per la tutela dell’avifauna, entrano automaticamente a far parte dei luoghi da tutelare denominati “Siti di Importanza Comunitaria (SIC)” della Rete Natura 2000. Ne consegue che per gli uccelli la procedura per il riconoscimento di luogo “SIC” è più rapida.

La Rete Natura 2000 è il sistema europeo di aree considerate fondamentali per la conservazione di habitat e specie vulnerabili. La Rete include le aree ZPS e SIC, segnalate da ciascun paese. La rete è in continua espansione, connette i 27 stati membri della Unione Europea, quindi non è solo una “delimitazione di spazi”, ma è anche un progetto e una strategia legale di politica internazionale per tutelare la biodiversità.

In parallelo, abbiamo anche gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, un altro meccanismo di difesa per la biodiversità a livello mondiale. L’Obiettivo 15 fa riferimento alla vita sulla Terra e ha come fine “proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, fermare e invertire il degrado del suolo e la perdita della biodiversità”. Inoltre, già nel 2015, quando gli obiettivi furono definiti, il target 15.5 specificava l’urgenza di ”intraprendere azioni efficaci ed immediate per ridurre il degrado degli ambienti naturali, arrestare la distruzione della biodiversità e, entro il 2020, proteggere le specie a rischio di estinzione”. Anche se siamo nel 2023 e c’è ancora tanto da fare per le specie criticamente compromesse, questo è un buon inizio se portato avanti.

In conclusione, abbiamo iniziative a livello locale e internazionale, norme della UE e obiettivi per la sostenibilità proposti dall’ONU, la più potente organizzazione intergovernativa. Ma allora, cosa manca? Perché ancora adesso assistiamo a discussioni infinite su cosa fare?

Il rapporto di sintesi “Fare pace con la natura” del programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) recita che “trasformare il rapporto dell’umanità con la natura è la chiave per un futuro sostenibile”. Credo anch’io che sia la strada giusta.

Non posso evitare di pensare alle parole della dottoressa Jane Goodall: “Il più grande pericolo per il nostro futuro è l’apatia.
FORSE LA VIA GIUSTA è quella del riconoscimento di diritti ad animali, piante, ambienti naturali? In ogni caso non c’è dubbio che abbiamo bisogno di nuove categorie etiche, che si fondino sull’analisi accurata dei dati scientifici.

Ritengo che fino a quando non ci metteremo nei panni degli altri, persone o animali, non riusciremo a trovare una via comune. Finchè non avremo una visione più olistica e integrata non riusciremo nemmeno a capire le nostre vere sfide.