DONA

Gravi Perdite: il primatologo Christophe Boesch

Gravi Perdite: il primatologo Christophe Boesch
30 Gennaio 2024 Redazione

Una grave perdita: all’età di 72 anni è morto Christophe Boesch, uno dei più importanti studiosi di comportamento degli scimpanzé in condizioni naturali che, con i suoi studi, ha permesso di conoscere l’ecologia, l’organizzazione sociale, il comportamento sessuale e riproduttivo, le relazioni fra gruppi, la cultura e le capacità cognitive di questi primati dell’Africa occidentale.

DI: ELISABETTA VISALBERGHI

Il 14 gennaio il mondo primatologico internazionale ha subito una grave perdita. All’età di 72 anni è morto Christophe Boesch, uno dei più importanti studiosi di comportamento degli scimpanzé in condizioni naturali.

Fondatore e attuale Presidente del Taï Chimpanzee Project e della Wild Chimpanzee Foundation, aveva iniziato la sua carriera negli anni ’70 sotto la guida del Professore Hans Kummer, dell’Università di Zurigo, conducendo ricerche in Costa d’Avorio nel Parco Nazionale di Taï. Con grande determinazione aveva abituato alla sua presenza alcuni gruppi di scimpanzé (Pan troglodytes verus) riuscendo nel giro di qualche anno ad osservare alcuni dei comportamenti più interessanti scoperti fino ad allora, dall’uso di percussori per aprire noci dal guscio duro alla caccia di gruppo di varie specie di mammiferi (incluso scimmie, come i colobi rossi).

La sua notevole produzione scientifica ha permesso di conoscere l’ecologia, l’organizzazione sociale, il comportamento sessuale e riproduttivo, le relazioni fra gruppi, la cultura e le capacità cognitive di questi primati dell’Africa occidentale.

Nel corso di tutta la vita, e ancor più dopo il 1997 quando è diventato Co-Direttore del Department for Evolutionary Anthropology del Max Planck Institute di Lipsia in Germania, Boesch ha utilizzato molta parte delle sue energie in attività di conservazione battendosi strenuamente, insieme alla moglie Hedwige Boesch-Achermann, per difendere gli scimpanzé e gli habitat dove ancora vivono.

Personalmente ho avuto la fortuna di incontrarlo più volte in occasione di congressi e seminari in cui ci raccontavamo “le meraviglie” che venivamo via via scoprendo. Certe volte è capitato che passassimo giorni e giorni, insieme anche con altri colleghi, rinchiusi fra le mura di posti bellissimi a discutere di evoluzione umana, di differenze e similitudini fra scimpanzé, cebi (le scimmie sudamericane che io avevo osservato usare percussori come i suoi scimpanzé) e bambini. Christophe aveva un carattere non facile, talvolta ruvido. Ad esempio, era convinto che gli studi condotti in laboratorio potessero dare solo una visione molto limitata del comportamento di una specie, quasi disprezzava chi non avesse esperienza di studi sul campo. E’ stato così che gli chiesi se avrebbe accettato che due miei studenti italiani andassero a Taï. La proposta fu accettata e la mia supervisione richiese un mio periodo di permanenza sul campo ed è così che ho fatto una delle più belle esperienze della mia vita trascorrendo un mese in foresta in una baracca completamente isolata che si trovava nell’home-range di un gruppo di scimpanzé non ancora perfettamente abituato alla presenza umana. In quelle quattro settimane oltre alla caccia e alla rottura di noci abbiamo osservato la “presentazione” di un piccolo di poche ore al gruppo, l’uso di bastoncini per raccogliere le formiche, e meravigliosi sonnellini in cui adulti grandi e grossi riposano a pancia all’aria stringendo con la mano un rametto, come per tenersi ancorati a terra in un momento di abbandono.

Boesch aveva ragione, per capire a fondo una specie animale bisogna osservare il suo comportamento in condizioni naturali.

Trascorrendo molto tempo insieme a loro ci si accorge di quanto sia difficile affrontare i “normali” problemi giornalieri che si presentano in condizioni naturali: alimentarsi a sufficienza e consumare i giusti alimenti, evitare di essere preda di qualche grosso carnivoro e di incontrare altri gruppi più forti e numerosi. Purtroppo però ai problemi “normali” nel tempo se ne sono aggiunti altri ben più gravi dovuti all’aumento della pressione antropica e alla sete di guadagno che comportano l’abbattimento di foreste e la caccia illegale.

Oltre a questi, che i sostenitori dell’Istituto Jane Goodall ben conoscono, ce ne era un altro: la trasmissione di malattie dall’uomo agli animali selvatici e viceversa. Anche se scoperto e studiato da molto prima, questo fenomeno ha ricevuto grandissima attenzione mediatica durante la recente epidemia di COVID-19. Già nel 1966 Jane Goodall, vedendo che alcuni dei suoi scimpanzé sembravano avere i sintomi della poliomielite, ipotizzò che il fenomeno fosse in relazione con l’epidemia osservata in un villaggio vicino e che gli scimpanzé fossero stati contagiati dall’uomo. Ma solo quaranta anni più tardi è stato possibile dimostrare, dati alla mano, che alcune malattie respiratorie sono proprio trasmesse dall’uomo. In altre parole, gli scimpanzé si possono ammalare e spesso muoiono per “colpa” nostra. Si è anche scoperto che i virus non sono ugualmente pericolosi in specie diverse; ad esempio quello che nell’uomo provoca solo un semplice raffreddore può essere letale per gorilla e scimpanzé.

Negli ultimi anni lo studio delle zoonosi (la trasmissione di malattie dall’uomo agli altri animali e viceversa) si è molto sviluppato e ha mostrato che la vicinanza evolutiva con la nostra specie rende i primati, e soprattutto le scimmie antropomorfe, estremamente vulnerabili. Alcuni virus portati dall’uomo sono stati responsabili di più della metà delle morti di cui si è potuto ricostruire la causa avvenute nel gruppo di scimpanzé di Kanyawara. Non è un caso, quindi, che da parecchi anni a questa parte i ricercatori e gli assistenti di campo usino mascherine e non si avvicinino troppo agli animali, proprio come facevamo tutti noi al tempo del COVID (vedi foto).

Il problema si pone però per i turisti che sempre più spesso vogliono osservare gli animali in condizioni naturali. Viaggi che includono una o più visite a gruppi di gorilla, scimpanzé o ad altre specie sono diventati sempre più frequenti e di grande importanza per il sostegno economico delle comunità locali e delle nazioni che li favoriscono con apposite politiche. Per i turisti è necessario disporre di gruppi di animali abituati alla presenza umana e che non fuggono quando ci si avvicina loro. Purtroppo queste sono anche condizioni ottimali per la trasmissione di malattie. Non stupisce quindi che chi si occupa di conservazione abbia tentato di mettere a punto, insieme a scienziati, operatori turistici e personale governativo, una regolamentazione da applicare al turismo di questo tipo. L’obbligo di mascherine, l’adozione di distanze minime, il divieto di lasciare alcunché in foresta, la “formazione” del turista per renderlo consapevole dei rischi appaiono attualmente misure assolutamente necessarie. Ma ci si chiede anche se basteranno dato che non tutti i turisti sono ubbidienti e che non sono i soli a frequentare le foreste dove vivono i primati non umani.

Con la morte di Christophe Boesch e dei tanti scimpanzé vittime di virus portati dall’uomo abbiamo subito gravi perdite.

In futuro dobbiamo imparare dagli insegnamenti di coloro che hanno dedicato la propria vita allo studio e la salvaguardia delle altre forme di vita e fare del nostro meglio.

Leggi gli articoli di Elisabetta Visalberghi: