Il gioco è necessario per imparare come comportarsi con gli altri e con ciò che ci circonda. Tuttavia, questa attività è costosa in termini energetici, per cui si gioca meno se si trascorre più tempo per cercare il cibo e mangiare. L’eccezione sono le mamme scimpanzé, che devono arrivare ad un compromesso fra maggior tempo speso nel giocare con i loro piccoli, così che imparino a vivere in un mondo pieno di complessità, e minor tempo dedicato all’alimentarsi.
DI: ELISABETTA VISALBERGHI
Quando abbiamo osservato il comportamento dei cebi barbuti selvatici che vivevano a Fazenda Boa Vista nello Stato del Piauí, una zona del Brasile in cui ci sono lunghi periodi di siccità, ci siamo stupiti del fatto che trascorrevano maggior tempo a riposare e a giocare rispetto ad altre popolazioni di cebi che vivevano in foreste lussureggianti apparentemente più ricche di risorse alimentari. Abbiamo poi scoperto, che nonostante le apparenze, a Fazenda Boa Vista c’era un’abbondante quantità di risorse alimentari sia durante la stagione secca sia durante la stagione delle piogge.
Peraltro i nostri dati concordavano con quanto riportato per altre specie di primati non umani, che quando il cibo è abbondante si gioca di più. Arrivammo anche ad ipotizzare che fosse proprio il tempo libero spesso dedicato all’esplorazione e al gioco con gli oggetti a creare le condizioni ottimali perché i piccoli cebi imparassero ad usare strumenti. Durante anni e anni di “esercizi giocosi”, di prove ed errori, di costante interesse per durissime noci di cocco che gli adulti riescono ad aprire solo con sasso e incudine, i giovani riescono infatti a raggiungere i loro primi successi.
Giocare è, quindi, molto importante per imparare tecniche complesse che permettono di avere accesso a risorse alimentari non altrimenti sfruttabili.
Kris Sabbi e collaboratori hanno appena pubblicato uno studio su Current Biology in cui analizzano dieci anni di dati sul gioco degli scimpanzé che vivono nel Kibale National Park in Uganda. I loro risultati mostrano che la scarsità alimentare comporta una riduzione della frequenza di gioco; a Kibale tutti gli individui del gruppo giocano meno quando le risorse sono limitate perché trascorrono più tempo per cercare il cibo e mangiare a sufficienza ad eccezione delle mamme scimpanzé. Qui le femmine adulte, pur dovendo affrontare il costo energetico di allattare e trasportare i figli non riducono la loro quantità di gioco con i loro piccoli. Come si può spiegare questa anomalia?
Ma facciamo un passo indietro. Il gioco può essere sociale e coinvolgere altri individui oppure diretto ad oggetti e cose. Va detto poi che, al contrario di ciò che avviene normalmente nel mondo animale, in alcune specie come i cebi e gli scimpanzé gli adulti continuano a giocare spesso. I maschi in particolare, si scatenano nei giochi di lotta e di inseguimento e “intrattengono” i piccoli. Uno studio condotto nel nostro centro primati tanti anni fa ha dimostrato che se non ci sono abbastanza compagni con cui giocare aumenta la quantità di gioco con oggetti e con le strutture presenti nel recinto (altalene, corde, …). Insomma, il gioco non è un bisogno superfluo ma è necessario per imparare come comportarsi con gli altri e con ciò che ci circonda.
Tuttavia, questa attività è costosa in termini energetici. Le mamme scimpanzé devono pertanto arrivare ad un compromesso fra mangiare un po’ meno e permettere ai loro piccoli di imparare a vivere in un mondo pieno di complessità. Il fatto che le femmine adulte di scimpanzé giochino soprattutto con i loro figli sembra proprio indicare che merita sacrificarsi per i parenti.
Speriamo che presto vengano analizzati con analoghe metodologie dati provenienti da studi a lungo termine su altre specie in modo tale da capire se questa particolare giocosità delle femmine caratterizzi solo lo scimpanzé.
Nel frattempo giochiamo anche noi adulti (a prescindere dal genere e dalle relazioni di parentela) con i nostri bambini senza delegare questa attività a chi di umano ha ben poco, come il tablet!